L'otto settembre mio padre era in carico al 221° Autoreparto Pesante, aggregato alla divisione "Bergamo", di stanza a Spalato [Split, HR], in Dalmazia. Allo scoppio della guerra viveva con la sua famiglia a Pompei, dove era nato nel giugno del 1920. Studente universitario, era stato chiamato alle armi all'inizio del '41. Dopo un periodo relativamente tranquillo di addestramento nell'Autocentro di Napoli, poco distante perciò da casa, era stato mobilitato per il fronte russo proprio nel momento in cui era massima la spinta dell'Asse contro l'Unione Sovietica, e trasferito all'Autocentro di Verona. Per quelle strane svolte che il caso o la fortuna danno alle nostre vite, da Verona non era partito per la Russia, ma era stato assegnato ad un Autoreparto in partenza per il fronte jugoslavo. Qui era rimasto due anni nella Dalmazia assegnata agli Italiani, con puntate nella Croazia del fascista Ante Pavelic, viaggiando alla guida dei pesantissimi Fiat in lunghi convogli scortati da motocarrozzette e piccoli blindati su strade tortuose, polverose d'estate, ghiacciate d'inverno.
E’ il racconto di un viaggio in Polonia, anzi di due viaggi; uno, nel 1997, sulle tracce del viaggio fatto nel 1942 come prigioniero dei Tedeschi, dal padre dell’autore, Giovanni Arpaia, internato in un campo di lavoro aggregato ai campi minerari di Neurode. Tornato fortunosamente a casa con la fine della guerra, Giovanni si fa accompagnare dai figli, cinquantadue anni dopo, a ritrovare un amico polacco con cui aveva diviso la prigionia, che era fuggito prima della fine della guerra, e con cui per tutti questi anni si era tenuto in contatto per lettera. Durante il viaggio alla ricerca di luoghi e paesaggi profondamente trasformati dal tempo e dal progresso, ritrova e racconta ai figli le paure, le speranze, i sogni, l’umanità che sopravvive attraverso le piccole cose e la generosità dell’amicizia che gli uomini sanno trovare quando la speranza è davvero poca.
Con otto tavole fotografiche.
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